Un bilancio dei primi due anni della società Righi, tornata ad una proprietà italiana. Presente e prospettive future del mercato delle torte salate surgelate della tradizione gastronomica emiliana. Andrea Melioli affronta i temi della crescita industriale e della conquista dei mercati esteri.
A due anni dalla riacquisizione da parte di 2 imprenditori reggiani della Righi di Reggio Emilia, marchio leader nel segmento della gastronomia tradizionale surgelata, facciamo il punto sui primi risultati raggiunti e sugli obiettivi per i prossimi anni.
Ne parliamo con l’amministratore delegato Andrea Melioli che insieme a Marco Barbieri nel 2010 ha acquisito il marchio dalla multinazionale olandese Royal Wessanen. La sfida maggiore è rappresentata dal diventare industria. Righi, infatti, pur appartenendo ancora all’universo delle Pmi e conservando l’anima artigianale del prodotto gastronomico di nicchia, ha sviluppato logiche produttive, organizzative e di relazione con il mercato che l’hanno portata ad operare come le grandi industrie. «La nostra mission è quella di proporre al mercato un prodotto che rimanga fedele alle tradizioni del territorio, ma di realizzarlo con logiche e su dimensioni industriali – prerequisito oggi per potersi confrontare con operatori retail importanti. Il 95 per cento del nostro fatturato deriva da prodotti a marchio Righi, ma siamo in grado di gestire progetti di co-development per marchi di terzi».
Quali sono stati i risultati ottenuti nel 2011 e con quali prospettive è iniziato il 2012?
«Il 2011 si è chiuso positivamente. Siamo cresciuti nei segmenti di mercato di nostro principale interesse, in particolare nel segmento delle torte salate, che è quello che ci vede leader di mercato con una quota prossima al 55 per cento.
Da un punto di vista qualitativo, abbiamo ripreso il processo di innovazione, promuovendo nuove linee di prodotto lanciate a metà del 2011. Abbiamo anche implementato un processo di sviluppo distributivo al Centro Sud, che ci ha consentito di raggiungere una migliore copertura del territorio nazionale. Le prospettive per il 2012 sono di confermare il trend di sviluppo e prevediamo di crescere di oltre il 10 per cento a volume a fine anno. Nel primo trimestre abbiamo già avuto una importante conferma di queste aspettative, con una crescita di oltre il 30 per cento a volume rispetto allo stesso periodo del 2011».
Questi risultati vi permettono di avere margini per nuovi investimenti?
«I nostri prossimi investimenti si concentreranno in tre direzioni. Ricerca e sviluppo, perché la nostra strategia di crescita si fonda sulla capacità di sostenere la categoria di prodotto attraverso innovazioni di prodotto e di servizio. Tecnologie produttive, spesso profilate e prototipate sull’esigenza specifica del prodotto, per migliorare l’efficienza e la qualità complessiva del prodotto. Infine, abbiamo in programma una dimensione più generale di investimento, comunque strategica, che riguarderà i processi organizzativi interni della società e gli strumenti di lavoro, perché lo sviluppo del portafoglio e dell’attività sui mercati richiede un adeguamento anche delle competenze interne, dei profili professionali e degli strumenti operativi. Inoltre, nei prossimi mesi, inizieremo a lavorare per un nuovo stabilimento produttivo; questo importante investimento sarà strategico per disporre in futuro di nuove tecnologie, realizzare nuovi prodotti e collocarci in
altri mercati o segmenti di consumo».
Avete quindi programmato un’espansione verso nuovi mercati.
«C’è sia la volontà di confermare i mercati attuali, sia quella di individuare nuove aree. Parlando di mercato italiano retail e quindi consumer, sostanzialmente il focus si conferma. Oggi il 65 per cento del nostro fatturato è realizzato nel canale della GDO e su questo stiamo lavorando in profondità, soprattutto sulla fascia di prodotti a maggiore valore aggiunto, con la linea delle torte salate per la famiglia. In soli quattro mesi di attività, questa linea, composta da tre articoli, ci ha fatto guadagnare 15 punti di quota di mercato.
Sempre parlando di Italia e spostandoci invece sul canale Ho.re.ca., svilupperemo offerte più mirate, sia in termini di approccio commerciale che di catalogo prodotti. La terza area di sviluppo sarà l’estero. Nel 2012 inizieremo a muoverci per lo sviluppo oltre i confini nazionali e su questo obiettivo è pensata la nostra partecipazione al prossimo Cibus».
Quali sono i mercati esteri di maggiore interesse?
«Un primo fattore discriminante è il ruolo che la cucina italiana ha nei diversi paesi. Proponendo prodotti che nascono dalla cultura gastronomica dei territori e dei luoghi, abbiamo bisogno di lavorare su mercati che abbiano una capacità ricettiva rispetto al prodotto etnico, italiano in particolare. Certamente ci sono alcuni mercati che hanno maggiori potenzialità, per esempio gli Stati Uniti – nei quali c’è una forte diffusione della cucina italiana. Esistono altri mercati importanti rispetto alla tipologia di prodotto, per esempio, la Francia è una terra in cui la cultura della torta salata è molto
sviluppata. Quindi bisognerà mappare queste situazioni per cercare di avviare uno sviluppo mirato e non su base estensiva».
Guardando ai gusti del consumatore, quali sono le esigenze che adesso vanno assecondate?
«Siamo profondamente convinti che al surgelato vada dato, come dimensione valoriale, non soltanto il tema del servizio, ma anche quello che in Righi definiamo “il contenuto gastronomico”. Quanto più questo è di alto livello, quanto più riprende le caratteristiche del prodotto artigianale e fatto in casa, tanto più dà motivazioni di scelta al consumatore o al responsabile di acquisto. Oggi i prodotti sui quali noi stiamo lavorando hanno un aspetto anche estetico tale da poter essere proposti pure durante un pranzo o una cena non ristretta al semplice ambito familiare. Pensiamo a un alimento, insomma, che non sia un ripiego, bensì una soluzione completa e qualificata.
In questo pensiamo che sia fondamentale “la nostra capacità di trasportare su base industriale un prodotto che deve restare artigianale nell’anima”.
In un periodo di forte stretta creditizia, quali sono stati i fattori che vi hanno permesso di ottenere l’appoggio degli istituti di credito nella fase delicata del cambio di proprietà?
«Bisogna distinguere fra due momenti: quello dell’acquisizione e quello del dopo acquisizione.
Al momento dell’acquisizione credo che siano stati determinanti due fattori: la credibilità degli imprenditori e del loro progetto; la storia e l’immagine che l’azienda e il marchio avevano sul territorio. In questa prima fase, quindi, quando gli istituti ci hanno sostenuto, hanno espresso una forte fiducia nei confronti dei manager-imprenditori che avrebbero intrapreso l’iniziativa. Per quanto riguarda il dopo, è fondamentale avere con gli istituti un rapporto di massima trasparenza e condivisione sulle scelte, i progetti e gli obiettivi dell’impresa, cosa certamente non facile in questo periodo».